domenica 25 marzo 2007

E-Video



“Noi con l’argilla fabbrichiamo un vaso, ma è il vuoto all’interno che contiene quello che vogliamo”
Tao Te Ching


Ricerche dell’istante e costruzione del senso
di Antongiulio Zimarino

L’artista cerca di mostrare e scoprire tra le cose quell’anello che lega o disgiunge dei possibili percorsi di Senso; mentre costruisce, attende che il costruire rilasci o produca l’istante in cui, oltre l’aspetto logico di una costruzione visiva o concettuale, l’osservatore si trovi proiettato a proporre delle ipotesi di comprensione in una dimensione non semplicemente logica ma, potremmo dire, estetica o anche, per che no, estatica.
La video arte contemporanea sembra avere molte potenzialità ma non sempre chiaramente intese: è realmente strumento “d’arte” nel senso più classico possibile perché consente di superare le necessità delle conseguenze logico narrative della struttura cinematografica per diventare non “racconto dell’accaduto” ma “esperienza del presente”. Essa può mettere insieme stimoli che appartengono storicamente e culturalmente alla percezione della pittura, con altri che appartengono ad altri campi mentali, percettivi e sensoriali (udito, intelletto, mobilità visiva) generando ulteriori possibilità interpretative attraverso relazione sinestetiche amplissime. Al di là delle qualità del “mezzo” è sempre il “come”, il “progetto”, la “cultura” che usa il mezzo a fare di esso lo strumento prezioso per aprire comprensioni in senso “orizzontale” del proprio mondo e in senso “verticale”, nella profodità del nostro tentativo di essere e di definirci.
Ma a quale scopo? Per lo scopo di sempre dell’arte: costruire un “luogo percettivo” dove si possa essere “presi dentro” e nel quale si può accedere attraverso le strade dell’intelligenza e della sensibilità.
La migliore video arte, ma la migliore arte in genere, ha la necessità di completare e fondere in una cosa sola, in un opera – pretesto, i nostri modi di conoscere ed esperire l’esperienza della realtà: il nostro essere autenticamente umani fa si che di essa ne comprendiamo poi una possibilità di senso, attraverso modalità logiche o analogiche. Molti problemi legati alla comprensione dell’arte stanno nel fatto che tendiamo a raggiungerla per una sola di queste vie, mentre invece essa è identitariamente e costitutivamente “entrambe le vie”.
Da questi video ho re – imparato queste cose, perché tutti mi sono risuonati nell’immaginario come “prodotti di una logica” cioè, di un progetto espressivo e riflessivo, ma tutti contengono un passaggio “oltre la logica” perché nel loro realizzarsi spingono necessariamente l’osservatore ad un approccio analogico. Ho nuovamente compreso che l’opera è “altro da sé” cioè, non è semplicemente quello che l’autore progetta o ha idea che sia, ma quando viene da lui “data” ad un pubblico, diventa ciò che l’altro sente che sia per lui e qualcosa allo stesso tempo di analogo e differente per ciascuno.
Credo che la vera efficacia dell’arte sia nel fatto che l’artista dona qualcosa a me, vuole condividere con me il “suo senso” e che esso può diventare davvero anche mio quando la stessa progettualità dell’artista lavora non sull’affermazione e la definizione ma sulla possibilità delle definizioni. Insomma che posso parlare di arte se l’opera può diventare qualcosa in cui anche io ho un ruolo, anche la mia intelligenza logica / analogica è chiamata a svolgere un ruolo costruttivo.

Mandra Cerrone – Silent family
E’ la ripresa d una performance, della realizzazione di un tabliaux vivents, ma il video, condensando e accellerendo il processo di costruzione, vede dipanarsi e costruirsi un senso, tra memoria / interiorità (bianco e nero) e realtà (colore). Finche prendono forma esperienze della memoria individuale di chi costruisce: ma tutti possiamo fare ed essere quel “processo” perché ognuno può o potrebbe rimostrare agli altri il puzzle di relazioni che la sua “famiglia” in quanto relazioni sociali germinali, è stata. Quindi io non guardo soltanto il video e il processo che racconta: io sono potenzialmente quel processo. Io posso esserlo e se almeno perdo due minuti in me stesso ad immaginarlo, entro nella dimensione della mia personale “analogia” e percorro, a partire dall processo logico, il mio luogo analogico. Ovvero vivo l’esperienza della mia interiorità a cui cerco di ridare almeno qualche senso.

Franco Fiorillo – Non comunicabile
Si susseguono sequenze di esplosioni legate a situazioni di conflitto e di terrorismo, sottotitolate da puntinature di un linguaggio Braille impossibile (perché scorre su di un video) mentre si svolge una Fuga da una sonata di Bach, nella sua continuità. Lo stridore concettuale e logico dell’assemblaggio creano un cortocircuito di sensi e linguaggi capace di trasformare il dramma delle esplosioni in una sorta di gioco di fuochi d’artificio ma dei quali non possiamo mai negare l’implicità assurda drammaticità per ciò che evocano e rappresentano. Allo stesso tempo non sappiamo cosa realmente siano e quando accadono perché nessuna parola, nemmeno quella tattile di potenziali “ciechi” ci può parlare: è l’assurdo spettacolo della violenza incongruente, dell’incongruenza del suo esistere e del suo non potersi spiegare, mentre la musica continua a ricordarci la continuità del tempo interiore, diverso, differente dallo spettacolo della tragedia. Cosa siamo allora? Contemplatori inconsapevoli di uno spettacolo di dolore, incapaci di interpretarlo, incapaci di dargli un senso, spettatori dissociati che non sanno più trovare l’accordo tra ciò che sono e ciò che guardano ?. Ma forse l’unica logica continua sta nella musica che svolgendosi nelle sue riprese, involuzioni, evoluzioni e aperture ci segnala come l’unica certezza sta nel fidarsi del tempo interiore che può certamente salvarci dall’ “inconcinnitas” del reale ma può diventare contemporaneamente anche l’anestetico della coscienza. Insomma il cortocircuito tra le logiche è il salutare momento interiore per provare ad immaginare da quale parte dovremmo e potremmo essere, pensando a quello che l’assenza di comunicazione finisce per farci essere.

Angelo Colangelo
Ancora l’incomunicabilità, ma questa volta come fatto relazionale; essa non è semplicemente un dato socio – culturale ma è intrinseca alla relazione umana quando essa non sappia riconoscere e capire lo spazio dell’altro da sé. Dunque il problema è tutto nell’individuo, nel suo agire e nel suo scegliere: nel rovinoso e tragico specchio di una umanità – società dissociata, scopriamo ciò che non vogliamo essere ma allo stesso tempo, riaffermiamo quello che desideriamo nel più profondo. Non possiamo non interrogarci se anche noi siamo “quelli” se anche noi possiamo essere la causa di ciò che non vogliamo. Questo video non è dunque un atto di denuncia ma è la dimostrazione di ciò che saremmo se rifiutiamo di essere ciò che desideriamo. E’ lo specchio urticante di come possiamo ridurci se ci rifiutiamo di accettare la relazione, se ci pieghiamo alla becera realtà dell’individualismo verso cui sembra spingerci la logica dell’utilitarismo contemporaneo.
Ma solo vederci così può farci ritornare in noi stessi per dire “non io” ! “non per me”!

Emanuela Barbi
Un angolo di campagna, un ritaglio di natura: la pittura può rappresentarlo, una macchina fotografica fissarlo, una macchina da presa può descriverlo. Ma cosa può fare una “persona” ? Più persone possono manipolarlo o stravolgerlo, una persona sola, coraggiosamente ed essenzialmente “nuda” perché è come è la natura, può “disegnare dentro” qualcosa. Ma come? Rotolando tra l’erba, esponendosi al contatto ruvido e totale con essa, soffrendo, rotolando, cadendo si disegna una traccia, un percorso che è il nostro segno in essa, l’idea del nostro passaggio con e nella natura. Non è semplice farlo e accettarlo: comporta sofferenza, espoliazione di sé, capacità di accettare la linea stessa casuale che si formerà, ma è un atto d’amore totale verso ciò che come noi è vivo. E accade così che per una ragione misteriosa compaia dal vento qualcosa che tocchi e lasci una sorta di “firma”, quasi una conferma di accettazione di questo “contratto” essenziale che ciascuno dovrebbe risottoscrivere con gli elementi di aria, terra, acqua, luce in cui abita.

Enzo De Leonibus
Più della parola, svilita a volte dalla troppa citazione o dall’abuso ovvio che se ne fa in ogni discorso, in ogni concetto e in ogni letteratura, è il cuore che pulsa, continuo, inevitabile, una cosa in sé stessa viva e interiore, fisica e metaforica, un organo fatto di sangue e carne che ridà senso alla parola “amore”. Nel cuore c’è l’intrinseca percezione della fisicità materiale del vivere stesso, della vita come presenza. La parola riacquista senso perché essa ha dentro, insieme e dietro la fisicità del vivere, brutale e tenera comunque. Leggo questo video come l’affermazione che non c’è senso alle parole, all’esprimere e all’essere se non c’è la dimensione concretissima di una vita. C’è la necessità di sentire e di vedere la pulsazione di dare corpo e sangue all’immaginario perché esso non sia solo una svincolata metafora giocata dentro il campo opinabile delle convenzioni culturali ma sia il volto, il dato percepibile di una esperienza, meditata scelta e sofferta. Perché il nostro dire dica ancora qualcosa di credibile, vero come il vivere e il pensare stesso che ci sono dati per essere.

E così, tra analisi visive, incroci di metafore, sinestesie visuali e concettuali ritorniamo a guardare in faccia il fatto che l’arte è qualcosa di ben diverso da altri “prodotti”, anche se è facile trattarla come se fosse una lattina qualsiasi. Ma giocando intorno ad una frase del Tao Te Ching potremmo dire che dell’arte possiamo farne o dirne qualsiasi cosa, ma se la scopriamo capace di contenere la vastità delle possibilità, se il suo porsi allo sguardo apre uno o più spazi di senso da percorrere, essa diventa qualcosa che può anche “contenerci” e raccoglierci, aiutandoci così a ricordare di non accontentarsi di un’esistenza che disperde e disorienta.

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