Pescara lì, 22 Febbraio 2009
Consapevole del fatto che il mio giudizio non interessa a nessuno e quasi certo della non pubblicazione di quest’articolo sulla questione Huge Wineglass di Toyo Ito, evito di pormi alcun limite e scelgo di scrivere chiaramente cosa penso dell’avvenimento più chiacchierato del momento.
Che la competenza spesso non sia passata da queste parti, tanto meno a Pescara, non è una novità, e che persino gli operatori culturali più in voga del momento non abbiano approfittato della gustosa occasione per dare una diversa chiave di lettura all’accadimento, è sinonimo di quanta poca prontezza c’è in questo angolo di provincia italiana.
Ad esporre il proprio punto di vista sull’argomento sono stati in molti. Per primi i politici locali i quali, pur non capendo nulla di Arte Contemporanea, hanno approfittato dell’incidente, che gli si è presentato su un piatto d’argento, per fare quello che solitamente fanno: strumentalizzare la vicenda e alzare il solito polverone per dare il colpo di grazia a chi ormai ha già abbondantemente toccato il fondo. Nessuno, tra maggioranza e opposizione, che avesse fatto una riflessione un po’ più colta cercando di andare oltre i soliti argomenti e capire il significato intrinseco che caratterizza tutta la vicenda “Huge Wineglass”. Effettivamente non c’è da stupirsi visto che nemmeno gli addetti ai lavori (quelli per intenderci che ricevono fior fior di quattrini dagli Enti pubblici e dagli sponsor privati per progetti culturali), hanno espresso un giudizio che andasse al di là del fatto che il blocco di plexiglas si sia rotto. Si va dai galleristi ai parenti dei grandi artisti, agli editori ai giornalisti, i quali si sono più preoccupati a fare bella figura con i politici di turno piuttosto che esprimere un punto di vista chiaro e senza freni inibitori. C’è chi ha affermato che con tutti i soldi spesi per la fontana avrebbe realizzato più di un evento culturale, c’è chi, invece, ha semplicemente dichiarato: “l’abbiamo fatta e ora bisogna aggiustarla” e infine c’è chi ha pensato che debba essere restaurata, sistemata, eliminata o addirittura sostituita.
Tutti hanno dato una soluzione al problema ma nessuno si è accorto che la più semplice è quella sotto gli occhi di tutti.
La storia come al solito insegna e non bisogna andare poi così lontano nel tempo per capire il grave errore che si potrebbe compiere.
Marcel Duchamp, attraverso il suo orinatoio rovesciato e trasformato in fontana, ha determinato quell’inarrestabile cambio di rotta dell’arte in cui il concetto di bellezza diventa relativo, la casualità parte integrante e l’effimero la reale natura della società contemporanea.
L’episodio ad egli accorso in un particolare momento del suo lavoro sembra essere l’esempio più calzante.
La sposa messa a nudo dai propri scapoli è l’opera più importante di Duchamp, in quanto antologica. In questo intervento c’è tutto il mondo dell’artista in cui sono espresse tutte le sue idee. L’opera è costituita da due lastre di vetro verticali su cui l’artista ha disegnato, con filo di piombo, figure meccaniche che paiono prigioniere del materiale stesso: un po’ come il calice rosso di Toyo Ito nella fontana pescarese. L’opera di Duchamp è particolarmente fragile e mentre l’artista era impegnato a lavorare sopra il vetro, questo si ruppe. Duchamp si arrese? No, smise semplicemente di lavorare alla sua opera, lasciandola così com’era, resa compiuta dall’effetto dell’incidente. Egli finì col considerare l’imprevisto stesso un intervento del Caso convincendosi subito a lasciare il vetro rotto senza tentare alcuna riparazione.
La fontana di Toyo Ito colpita da sventura, errore progettuale, di lavorazione o semplice Caso, come simpatico deja vu, forse proprio adesso che è rotta rappresenta l’immagine precisa della Città.
La fontana è Pescara che tenta di mostrarsi bella: ma una bellezza priva di fondamenti, debole di contenuti che implode e che si sgretola su se stessa.
La scultura che si frantuma nel tempo sotto gli occhi attoniti dei cittadini è la società che per la sua stessa fragilità lentamente diventa macerie.
L’incidente accaduto non è stato nemmeno sfruttato dai soliti “colonizzatori”, ritenuti esperti, che solitamente “bevono” da quello stesso calice. Preferiscono continuare a tagliare nastri inaugurali per la città pensando che la cultura è solo una forma di spettacolo momentaneo, temporaneo e non una testimonianza del passaggio della formulazione di un’idea. Trovando un giusto compromesso tra stabilità della struttura e la sicurezza dei cittadini, a mio avviso la fontana anche se rotta deve rimanere al suo posto così com’è.
Ivan D’Alberto,
Direttore del Museo di Arte
Contemporanea di Nocciano
Consapevole del fatto che il mio giudizio non interessa a nessuno e quasi certo della non pubblicazione di quest’articolo sulla questione Huge Wineglass di Toyo Ito, evito di pormi alcun limite e scelgo di scrivere chiaramente cosa penso dell’avvenimento più chiacchierato del momento.
Che la competenza spesso non sia passata da queste parti, tanto meno a Pescara, non è una novità, e che persino gli operatori culturali più in voga del momento non abbiano approfittato della gustosa occasione per dare una diversa chiave di lettura all’accadimento, è sinonimo di quanta poca prontezza c’è in questo angolo di provincia italiana.
Ad esporre il proprio punto di vista sull’argomento sono stati in molti. Per primi i politici locali i quali, pur non capendo nulla di Arte Contemporanea, hanno approfittato dell’incidente, che gli si è presentato su un piatto d’argento, per fare quello che solitamente fanno: strumentalizzare la vicenda e alzare il solito polverone per dare il colpo di grazia a chi ormai ha già abbondantemente toccato il fondo. Nessuno, tra maggioranza e opposizione, che avesse fatto una riflessione un po’ più colta cercando di andare oltre i soliti argomenti e capire il significato intrinseco che caratterizza tutta la vicenda “Huge Wineglass”. Effettivamente non c’è da stupirsi visto che nemmeno gli addetti ai lavori (quelli per intenderci che ricevono fior fior di quattrini dagli Enti pubblici e dagli sponsor privati per progetti culturali), hanno espresso un giudizio che andasse al di là del fatto che il blocco di plexiglas si sia rotto. Si va dai galleristi ai parenti dei grandi artisti, agli editori ai giornalisti, i quali si sono più preoccupati a fare bella figura con i politici di turno piuttosto che esprimere un punto di vista chiaro e senza freni inibitori. C’è chi ha affermato che con tutti i soldi spesi per la fontana avrebbe realizzato più di un evento culturale, c’è chi, invece, ha semplicemente dichiarato: “l’abbiamo fatta e ora bisogna aggiustarla” e infine c’è chi ha pensato che debba essere restaurata, sistemata, eliminata o addirittura sostituita.
Tutti hanno dato una soluzione al problema ma nessuno si è accorto che la più semplice è quella sotto gli occhi di tutti.
La storia come al solito insegna e non bisogna andare poi così lontano nel tempo per capire il grave errore che si potrebbe compiere.
Marcel Duchamp, attraverso il suo orinatoio rovesciato e trasformato in fontana, ha determinato quell’inarrestabile cambio di rotta dell’arte in cui il concetto di bellezza diventa relativo, la casualità parte integrante e l’effimero la reale natura della società contemporanea.
L’episodio ad egli accorso in un particolare momento del suo lavoro sembra essere l’esempio più calzante.
La sposa messa a nudo dai propri scapoli è l’opera più importante di Duchamp, in quanto antologica. In questo intervento c’è tutto il mondo dell’artista in cui sono espresse tutte le sue idee. L’opera è costituita da due lastre di vetro verticali su cui l’artista ha disegnato, con filo di piombo, figure meccaniche che paiono prigioniere del materiale stesso: un po’ come il calice rosso di Toyo Ito nella fontana pescarese. L’opera di Duchamp è particolarmente fragile e mentre l’artista era impegnato a lavorare sopra il vetro, questo si ruppe. Duchamp si arrese? No, smise semplicemente di lavorare alla sua opera, lasciandola così com’era, resa compiuta dall’effetto dell’incidente. Egli finì col considerare l’imprevisto stesso un intervento del Caso convincendosi subito a lasciare il vetro rotto senza tentare alcuna riparazione.
La fontana di Toyo Ito colpita da sventura, errore progettuale, di lavorazione o semplice Caso, come simpatico deja vu, forse proprio adesso che è rotta rappresenta l’immagine precisa della Città.
La fontana è Pescara che tenta di mostrarsi bella: ma una bellezza priva di fondamenti, debole di contenuti che implode e che si sgretola su se stessa.
La scultura che si frantuma nel tempo sotto gli occhi attoniti dei cittadini è la società che per la sua stessa fragilità lentamente diventa macerie.
L’incidente accaduto non è stato nemmeno sfruttato dai soliti “colonizzatori”, ritenuti esperti, che solitamente “bevono” da quello stesso calice. Preferiscono continuare a tagliare nastri inaugurali per la città pensando che la cultura è solo una forma di spettacolo momentaneo, temporaneo e non una testimonianza del passaggio della formulazione di un’idea. Trovando un giusto compromesso tra stabilità della struttura e la sicurezza dei cittadini, a mio avviso la fontana anche se rotta deve rimanere al suo posto così com’è.
Ivan D’Alberto,
Direttore del Museo di Arte
Contemporanea di Nocciano
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