“E lo Spirito dei principi maschile e femminile si librava sulla superficie dell’informe e la creazione ebbe luogo”.
Adesso, Mandra Cerrone, non ha più tempo per giocare. Chiede agli dei la verità sulla propria natura. L’opera si fa potente. Ho appena parlato al telefono con il mio amico fraterno A.G. ritornato nella sua Città, L’Aquila, dopo la notte della catastrofe. La città degli dei maschili e femminili non esiste più. Esistono ancora le spiritualità degli uomini e delle donne che dal principio originario, quella città speculare alla Gerusalemme degli dei, l’hanno incarnata nella memoria, nelle ossa, nel proprio sistema biologico, maschile femminile, e la fanno vivere oltre le mura crollate, oltre i confini delle pietre spostate dal sisma. Oltre la morte, oltre tutto l’immanente e l’ascetico che pur regge nella spiritualità discussa di un Celestino V. Mandra Cerrone ha un proprio linguaggio a cui non può sottrarsi. L’immagine dirompe la facciata della significazione, rimuove il concettualismo riflessivo, smarca ogni semantica possibile; non pretende dare o avere spiegazioni. Non ambisce a provocazioni che pur sarebbero lecite davanti alle percezioni semplificate dello spettatore. Qui l’opera d’arte diventa simulacro di un endogeno senso antropico: il culto delle divinità. Se è universalmente distribuito nell’equilibrata dicotomia maschile femminile apre inquietudini sottili a ritrovarsi con un potere assoluto dettato dalla volontà di chi ha timore della polarità e forza la determinazione di un posizionamento al vertice, un potere vettoriale esclusivamente a carattere maschile elemento assoluto nella medianicità tra il dio e l’umano. Un maschile assoluto in morsa strutturale che ignora il suo lato essenziale dettato dalla significazione, anche letteraria, del femminile. Sappiamo qualunque polarità genera movimento. Sappiamo il pianeta non tollera monotematiche impositive. Qualunque sia la condizione e il pensiero, qualunque empatica solitaria riflessione sul senso esistenziale, premette una necessaria oscillazione dialettica tra ciò che veramente esiste in natura e che è madre assoluta. Maschile/femminile; un uno per il tutto. Ed ecco la domanda che l’opera divulga. I motivi volontari che pongono in rappresentanza di un solo Dio un solo uomo inteso nella sua natura di specie e di genere: un solo piano maschile in peso alla sostanza della verità esistenziale che vuole l’alternanza polare femminile per poter essere ed esistere. Mandra Cerrone ha profondità spirituali e affezioni gnoseologiche che non lasciano scampo. La sua stessa conformazione culturale le obbliga, attraverso l’espressione artistica, di non evitare la verità del mondo. La più bella città del pianeta è appena scomparsa. Lo sento dalla voce del mio amico fraterno, l’aquilano di razza. La bellezza non chiude i battenti. Fin quando ci saranno uomini e donne di questo calibro, l’arte e le città saranno in ogni punto dell’anima e della vita sempre presenti e vive. Adesso, Mandra Cerrone, non ha più tempo per giocare. Chiede agli dei la verità sulla propria natura. L’opera si fa e ci rende potenti.
Antonio Picariello
Adesso, Mandra Cerrone, non ha più tempo per giocare. Chiede agli dei la verità sulla propria natura. L’opera si fa potente. Ho appena parlato al telefono con il mio amico fraterno A.G. ritornato nella sua Città, L’Aquila, dopo la notte della catastrofe. La città degli dei maschili e femminili non esiste più. Esistono ancora le spiritualità degli uomini e delle donne che dal principio originario, quella città speculare alla Gerusalemme degli dei, l’hanno incarnata nella memoria, nelle ossa, nel proprio sistema biologico, maschile femminile, e la fanno vivere oltre le mura crollate, oltre i confini delle pietre spostate dal sisma. Oltre la morte, oltre tutto l’immanente e l’ascetico che pur regge nella spiritualità discussa di un Celestino V. Mandra Cerrone ha un proprio linguaggio a cui non può sottrarsi. L’immagine dirompe la facciata della significazione, rimuove il concettualismo riflessivo, smarca ogni semantica possibile; non pretende dare o avere spiegazioni. Non ambisce a provocazioni che pur sarebbero lecite davanti alle percezioni semplificate dello spettatore. Qui l’opera d’arte diventa simulacro di un endogeno senso antropico: il culto delle divinità. Se è universalmente distribuito nell’equilibrata dicotomia maschile femminile apre inquietudini sottili a ritrovarsi con un potere assoluto dettato dalla volontà di chi ha timore della polarità e forza la determinazione di un posizionamento al vertice, un potere vettoriale esclusivamente a carattere maschile elemento assoluto nella medianicità tra il dio e l’umano. Un maschile assoluto in morsa strutturale che ignora il suo lato essenziale dettato dalla significazione, anche letteraria, del femminile. Sappiamo qualunque polarità genera movimento. Sappiamo il pianeta non tollera monotematiche impositive. Qualunque sia la condizione e il pensiero, qualunque empatica solitaria riflessione sul senso esistenziale, premette una necessaria oscillazione dialettica tra ciò che veramente esiste in natura e che è madre assoluta. Maschile/femminile; un uno per il tutto. Ed ecco la domanda che l’opera divulga. I motivi volontari che pongono in rappresentanza di un solo Dio un solo uomo inteso nella sua natura di specie e di genere: un solo piano maschile in peso alla sostanza della verità esistenziale che vuole l’alternanza polare femminile per poter essere ed esistere. Mandra Cerrone ha profondità spirituali e affezioni gnoseologiche che non lasciano scampo. La sua stessa conformazione culturale le obbliga, attraverso l’espressione artistica, di non evitare la verità del mondo. La più bella città del pianeta è appena scomparsa. Lo sento dalla voce del mio amico fraterno, l’aquilano di razza. La bellezza non chiude i battenti. Fin quando ci saranno uomini e donne di questo calibro, l’arte e le città saranno in ogni punto dell’anima e della vita sempre presenti e vive. Adesso, Mandra Cerrone, non ha più tempo per giocare. Chiede agli dei la verità sulla propria natura. L’opera si fa e ci rende potenti.
Antonio Picariello
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