mercoledì 8 agosto 2007

sabato 4 agosto 2007

VINART IN TERRITORIO LAPIO

Antonio PICARIELLO
Dioniso nasce due volte. Diventa divinità dopo aver attraversato le condizioni terrestri e gravitazionali degli umani. È questo uno dei motivi che donano alla figura del di-vino doppia considerazione in quanto generatore di trasmutazione delle condizioni che il destino obbliga, agli esseri dell’universo, di seguire nella dovuta devozione culturale secondo il tempo di missione generazionale. Dionisio e Bacco, mentalità greca e latina si fondono nel gusto e nella mitologia. Si uniscono come fuoco e acqua nelle dimensioni degli elementi chimici e biologici; ghiaccio, vapore e liquidi, o, ossigeno che brucia nel legno e nello spirito affinché divino mitologico e storia degli uomini diventi l’atto consapevole e sublime nella creatività dell’artista. Dionisio artista, bacco rappresentante delle azioni degli uomini, Lapio luogo dove Dionisio si riposa respirando aria che trasforma nel dono della vite e sguardi che calano dentro l’origine misteriosa di una necessità comune di fare ed essere spettacolo teatrale. Di essere rappresentazione che insegna coscienza collettiva. Commedia dell’arte, spontanea, di ventre comune, racconta la sorgente di cuore che il tempo storico promuove nei desideri della gente che abita e vive, con amore, il proprio dominio privilegiato baciato dal conforto del dio del vino e dello spettacolo. Teatro e vigna si fondono nel rispetto della natura, in questo luogo magico della rappresentazione dove si respira il paesaggio con il fremito sotteso dionisiaco che attraversa le generazioni e crea nascite superbe che costellano la volta celeste e le pietre delle abitazioni del luogo. Dionisio figlio di Zeus e di una mortale. Figlio di Semele sacrificata alla vendetta scatenata dall’incontinenza gelosa di Era, dea incapace di perdonare le amanti del suo divino consorte. Semele prima ancora della nascita del suo fanciullo diventa l’oggetto di inganno, il punto su cui si posa la vendetta divina e femminile che l’attira in un tranello per farla fulminare dalle saette infuocate di Zeus vietato, per condanna mortale, alla visione degli umani. Ma il destino che segna i compiti degli dei e degli uomini completò la gestazione del feto all’interno della coscia di Zeus che per sottrarre il fanciullo dagli interventi maligni della moglie, lo affidò alle cure delle ninfe di Nisa. Dioniso cresciuto abbandona la casa scelta dal padre e viaggia lungo le geografie del mondo insegnando agli umani il segreto della sua creazione di-vina: la coltivazione e la cura della vite. Dioniso dio della vegetazione, della terra fertile, della vite e del vino. Dio del teatro che dalle origini gioca nei riti e nel mito; dionisiaci e Baccanti e quindi arte, arte che inventa il gusto e il pensiero, che colloquia con lo spirito e consiglia provvidenze ai genius loci del luogo. Lapio segna così la voce endogena del territorio, gli sguardi genuini, l’innocenza di guardare i campi coltivati nelle distese delle viti, lo sguardo dell’artista che qui si incontra per recitare il rito silente della creatività rinfocolando la saggezza del satiro con la bontà cristiana che suona le sue campane nella festa generale. Festa dell’arte, della buona visione del giusto pensiero che si traduce in parole che superano il senso normativo della significazione entrando nel cuore vitale della poetica che descrive il gusto e l’arte : “Dal colore paglierino carico brillante ha un profumo dolce e intenso con netti sentori di frutta esotica papaja e fiori bianchi, vaniglia, cedro. Al gusto è intenso e persistente con un finale lungo di note odorose di legno tostato, spezie, miele. Ottimo equilibrio, buona concentrazione, grande volume. Vino impegnativo, aristocratico, dotato di grande struttura ed elevata complessità aromatica. Un’esperienza indimenticabile”. Ecco il linguaggio che bacco istruisce nelle bocche poetiche dei mortali, ecco il Fiano ed ecco Lapio con VinArte in Territorio che concerta tra la storia dell’arte e la festa con il segno ricamato e architettonico di Nino Barone, la classicità anche mitologica investita nella scultura di Antonio Giordano, l’armonia sonora nel segno calibrato di Antonio Laurelli che brinda alla visone matura e fermentata al tempo giusto di Cesare Pacitti, e la tenacia strutturale emessa dalle istallazioni di Franco Valente e lo sguardo costruttivo di chi il luogo lo esprime nella composizione e nell’anima attraverso la continua sensibilità della messa in scena residente nelle opere salubri e missive di Edoardo Iaccheo che danno voce all’eleganza giovanile e intensa nella qualità che con molta umiltà potente Vanni Macchiagodena costruisce intorno e nello spazio di bacco facendolo danzare con le nuove composizioni designer di Vincenzo Mascia che lo accompagnano lungo il tragitto della città e della festa. E di concerto si tratta perché il lautari dell’arte compongono insieme, da qualche tempo, l’orchestra che muove visioni salubri lungo i corridoi geografici dell’Italia concentrando qui, il richiamo del vino che chiede visoni architettoniche, forme e spirito da donare all’incontro rituale, da mettere insieme agli interstizi parlanti delle mura e delle pietre della città attraverso l’immagine dionisiaca e femminile sognata dall’istinto tematico di Luciana Picchiello, esploso nella triplice composizione alleata di Mario Serra, Ernesto Saquella e Terrigno capaci come veterani argonauti di coalizzare profonde esperienze a cui neanche le parole a la poetica della letteratura artistica possono, anche volendo, renderne il senso compiuto. Sono opere da sentire, forme da ascoltare come, il gusto del vino e, il sapere del luogo “sanno” captare nella sperimentazione cromatica e progettuale di Giancarlo Costanzo, nell’arte di solito sacrale che Michele Carafa e il “suono natio nell’alveo materno” di Sara Pellegrini mettono in campo nella cultura incantata delle opere, ma non solo, questa volta si caricano di magica energia in attesa dei nuovi figli che respireranno il mondo che gli stiamo preparando. E noi siamo gente dell’arte, uomini e donne che amano il senso “bontade” del mondo e che nutrono cellule del gusto e del bello accogliendo gli spiriti della città come elementi fraterni del nostro navigare creativo. E così il modello ricercato nella fotografia di Antonio De Gregorio pone all’orchestra dell’arte l’accompagnamento e il sostegno che ritma il senso del tema e quasi sembra di bere i segreti del Fiano. Segreti antichi che sgorgano dalle cellule biologiche votate per una vita al colloquio intenso con l’arte che Angelo Colangelo, uomo che meglio rappresenta il silenzio dionisiaco che prevede le forme future, mette al gioco dell’incontro con natura soave, così come sempre l’artista sa fare donando nella leggerezza più sensibile il suo calibrato e maturo punto di vista sul mondo. E qui entrano in scena Mandra Cerrone e Cecilia Falasca. Giovane fresca natura bacchiana che sollecita lo sguardo posato sulla sua opera a rinvigorire di salubre considerazione la bellezza del mondo e il gioco, come genuino momento dell’infanzia che attrae il corpo adulto con il magnetismo e il richiamo del bambino che ci guida da sempre lungo le scelte razionali o i desideri incollati alla nostra sostanza di viventi della storia a cui apparteniamo. È tanto è linguaggio visivo che Fulvio Rosapane scrive nelle righe di questa manifestazione; pronuncia opera che risente della cultura del luogo la stessa che nella qualità costruttiva di Nicola Macolino diventa discorso scenografico e regia degli spazi che emettono suoni visivi da ascoltare attentamente attraverso la fantastica operazione raccontata da Antonio Tramontano con il segno e la figura fiabesca o le istallazioni oltre la provocazione capaci di sollecitare la bellezza del mondo con le opere che Valentino Robbio rimette al mondo e alla gente che lo incontra. E poi Enzo Marino, con le sue allenate mistiche forme che si muovono nello spazio a volte con il segno cromatico della pittura, a volte nei convolvoli a spirale delle figure danzanti o che appaiono tali come inebrianti baccali che riportano il fondo solare dell’arte partenopea. E il concerto dell’arte chiude con il gesto proficuo e salubre del maestro solitario, del musico che cammina sempre come un santo tra le piogge e il vento che Michele Peri considera fraterne creature che gli suggeriscono, suggerendolo di riporto a noi, il gusto della natura e del vivere; qui, adesso, nella grande festa di questa Vinarte in Territorio Lapio dove Bacco e Dionisio si inchinano alle pietre sacrali della città e alle piante dei campi che pure gli appartengono per volontà di-vina.
vernissage 11 agosto 2007