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lunedì 25 febbraio 2008
Sepolcro Artistico, I edizione 2007
(nella foto le opere di alessandro Rietti, edizione 2007)
ALESSANDRO RIETTI
I GIORNI DELLA PASSIONE: Crocifissione, Morte, Resurrezione
Ispirandosi a motivi che caratterizzano la drammaturgia del Venerdì Santo, che nel mondo cristiano è fondamento della Resurrezione, Alessandro Rietti ha realizzato tre grandi pannelli:
- il primo con fondale rosso
- il secondo con fondale nero
- il terzo con fondo oro
Le iscrizioni che li contraddistinguono sono:
Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato, segue quello che simboleggia la morte ed è senza specifica indicazione ed invita alla riflessione infine, si legge l’ammonimento: Non mi toccare perché non sono ancora asceso al Padre mio.
Ogni pannello, quindi, riassume la simbologia della vita, della morte e della resurrezione del Cristo.
Sopra le tre superfici evocative sono sovrapposte stoffe dal colore funebre che richiamano i momenti culminanti della passione in modo da suggerire i contorni del corpo, prima ferito e sofferente, poi nel trionfo della morte.
Lo stupore di chi osserva, e ben conosce le fasi del martirio del Redentore, trova la possibilità di penetrare tra i drappeggi l’indicibile, quell’indicibile che va al di là della figurazione a cui la tradizione ci ha abituati e che l’intuizione ci consente di riempire di significati.
In tal modo abbiamo la possibilità di contribuire alla visibilità e alla vitalità di tutto l’impianto scenico, realizzando la metamorfosi di ciò che non è immediatamente palese: la mente apre un varco sulla suggestione dei suggerimenti, compiendo il miracolo dall’informe al concreto.
Le tavole pietrificate che si accostano alla fluidità delle stoffe completano il processo.
Questo naufragio dell’Essere degli strapiombi, nelle pieghe delle insenature pietrificate, risponde alle domande che non osiamo formulare perché nelle ombre e nei riflessi che la mano di Rietti evidenzia senza frastuoni di colori si annidano domande che vengono generate dalle risposte che in qualche modo già conosciamo; e le risposte snidano interrogativi che vivificano il significato della morte come punto di avanzamento verso un territorio infinito.
Tutto questo è nelle impronte delle formelle che sintetizzano un dramma sovrumano imbevuto dalla speranza.
La sintesi della Passione è resa con impressionanti rapporti di luci ed ombre che si modificano e si rinnovano secondo il mutare delle intensità delle variazioni prospettiche e delle distanze dell’oggetto dall’osservatore.
L’enigma maggiore è sostituito dalle insenature che acquistano significato proprio dalla imprevedibilità, perché il progetto artistico si imprime nella materia secondo impulsi dettati dal momento disorientante ed enigmatico che sempre presiede l’attimo creativo.
Ma il disorientamento diventa rivelazione anche per lo stesso Rietti, calatosi con estrema sensibilità in una dimensione che non è circoscritta dalla superficie che utilizza per entrare nel territorio dell’Uomo – Dio per l’empito del suo incontrollabile talento che riassume una molteplicità di esperienze artistiche ai confini della rilevazione e del meraviglioso.
Egli si avvale, insomma, di piani plastici e psichici.
La geometria scomposta richiede, quindi, lo sforzo dell’osservatore educato alla combinazione delle apparenze sceniche e poco disposto ad entrare nel groviglio delle riminiscenze che costruiscono rocce con granelli di polvere e riducono in polvere baratri e montagne.
La figura del Cristo, la sua biografia ascendente ed il suo messaggio, che non si esauriscono nelle parole dei testi sacri, entrano nella nostra coscienza senza una dimensione corporale e si “attualizzano” – se così si può dire – nella nostra interiorità.
Si tratta di passare dal reale al surreale secondo un processo per il quale Rietti offre il suggerimento che ritiene più adatto.
Il flusso è alimentato da molti affluenti culturali, dal desiderio di entrare in segreti ed evanescenti allusioni che convivono con l’ansia di un assoluto che non ha forma e si coagula, infine, in dettagli animici che sembrano annunciare la necessità di un ricordo al miracolo e, quindi, al sacro impronunciabile.
Tutto si compie nella pronuncia della parola non scritta, nel colore non apposto, nel suono inudibile che oscilla tra l’improbabile della teosofia, la mistica, la dispersione e la ricostruzione di un evento che indubbiamente ci sovrasta.
Benito Sablone
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