martedì 9 ottobre 2007

Antonio Picariello



MANDRA CERRONE – Avanguardia Spirituale –
Antonio PICARIELLO

“Jodorowsky racconta che suo nonno avrebbe attraversato la Cordigliera delle Ande a dorso di mulo: era la prima volta che la Torah (la legge ebraica) entrava in questa maniera in Cile”
Quanta influenza sull’espressività artistica di Mandra Cerrone abbia Jodorowsky, lo si rileva dal segno. Jodorowsky squarcia le visioni con la memoria del racconto, crea scene mentali, obblighi terapeutici, diagnosi con la metodologia del mito. Si avvicina a dio giocando con i suoi stessi segni. Firma il suo biglietto da visita con la croce divina e pubblicizza l’anima profonda del poetico, del palinsesto visivo, della rivoluzione senza rivoluzione; il punto del cambiamento fagocita l’inizio senza rinnegare il principio che allo stesso tempo viene rinnegato dall’apparizione di qualcosa che ha per natura l’innovazione. Mandra Cerrone scivola nella compiacenza velata del discepolo, ascolta, percepisce, si rinforza dal racconto. Attraversa la cordigliera del pensiero contemporaneo con la sicurezza del linguaggio performativo, della scena teatrale: non osa a dio, ma al mito e a Shakespeare. Mi è capitato spesso di presentarla. Spesso ho comparato la sua arte, l’arte di Mandra Cerrone con alcune avanguardistiche forme espressive degli anni novanta; linguaggi che hanno soddisfatto il tempo e che ora respirano la caduta normalizzata delle avanguardie contemporanee. Il post umano di Andersen per esempio, lo stesso Cattelan, oltre il mercato, si restringe per sua stessa condizione comunicativa, nel proprio linguaggio, rientrano nella cornice. Mandra Cerrone supera il senso del tempo per sua spontanea nobile propensione, conduce la fantasmagoria di una simbolica Torah latinizzata , rinvigorendo la descrizione del contemporaneo immediato con il segno magico di un racconto semplice. “Sient Family”, “Denaro Santo”, “Mangiandoti Assimilo La Tua Essenza”, ecco alcune lance perforative del pensiero contemporaneo, ecco il punto di svolta ecco il linguaggio che insigne alla teatralità e modella scene d’impatto riconoscibili, d’impulso accomandanti il senso dell’appagamento e del ristoro, il senso del senso del silenzio “ di cui non si può parlare”. Il mito ritorna alla nostra condizione solo perché Mandra Cerrone lo vuole in prestito, perché la ricerca ha raggiunto inconsapevolmente un punto apice, un punto, un livello, un grado angolare che richiama continuità, quasi assoluta necessità, di un oltre espansivo. Oltre la forma e la visione, mirando all’ “energia” ( come altro potrebbe definirsi) della percezione temporale dilatata mentalmente. Oltre le condizioni delle consuete dimensioni; il tempo dell’altrove ripartito per sentito amore del linguaggio e della ricerca dell’arte, un sentire come trasportare un simbolo divino che ci accomuna in una zona “pangeografica” del pianeta in avanguardia al sapere del mondo. Necessità di sguardi che ritrovano se stessi, non come spettatori di fronte ad un’opera, ma come clienti del proprio esistere messi davanti ad un linguaggio della natura, un archetypo dimenticato dalla memoria comune, ma fisso e stabile nella memoria degli atomi, delle cellule, dei primordi contemporanei. Family, dove la composizione delle scene, la disposizione degli oggetti umani, del bianco vestale, riordina con semplicità l’armonia acclarata della manualistica dell’anima e ristorna al racconto orale, alla scena familiare di antico retaggio, riportando il principio divino in cui la danza precede il movimento, la ripartizione storica precede il progetto, lo spirito acquisito, precede l’immagine sentita e così la scena compone se stessa, la propria consapevolezza dei ruoli familiari, una candida family nel rituale del bianco che rifiuta il cromatico e diventa colore assoluto come un segno d’arte che precede l’avanguardia, qualunque avanguardia con la semplicità della significazione accettata per natura istintiva o per consapevolezza razionale. E il rituale si acclara potente nella dimensione riflessiva di “Denaro Santo” ove l’antica liturgia della purificazione, la grande madre o le vestali del tempio, riformattano il simbolo dello scambio e del valore, l’icona filigranata del denaro contemporaneo, nella sostanza divinizzata della purificazione. Il lavare le vesti, il lavare il denaro il lavare il pensiero con battiti di immagini fotografiche che richiamano analogie rinascimentali e piaceri diffusi dalla voce granata della storia dell’arte. E il rito si fa concluso quando l’effige fisica che riproduce la persona impregna il piano orizzontale delle ostie che diventano cibo, antropofagia di cui il latore esecutivo si impossessa attraverso i condotti incarnati dell’anima e dello spirito. Attraverso le procedure e i canali dell’arte che diventa così scena dell’arte in divenire obbligandoci a riflettere, come lanterna filosofica, sul tempo e il senso di esistere. Sempre e dovunque, oltre ogni simbolismo e avanguardia celata, con il filo dell’amore e dell’amare continuo.

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